mercoledì 23 febbraio 2011

Una danza speciale

Una danza speciale, quella a cui ho assistito stamane, con il naso schiacciato contro i vetri gelati di casa, come una bimbetta un pò troppo cresciuta.
Ma questa è la casa di coloro che vanno controcorrente, no? Ed allora lasciatemi dire che ho provato una gioia infantile nel vedere i fiocchi di neve, scendere a larghe falde, con intrecci armoniosi nell'aria!


Bene, adesso tutto è rientrato nella normalità e il sole tenta di farsi valere.
Il sogno è finito. Mi devo svegliare.
Buona giornata a tutti voi, Fiocchi di Neve,  che passerete di qui

                   SusannaCerere

domenica 20 febbraio 2011

Nostalgia...


Ho pensato che condividere con voi,
questo album "Nostalgia",
(io li chiamo così)
potesse farvi piacere...

La copertina è, come sempre,
molto elaborata.
Purtroppo in questo album
manca la chiusura in metallo, 
ma data la sua età vetusta...
 
Le pagine sono sempre molto
riccamente decorate, trionfi di
fiori spiccano dalle pagine.

Che meraviglia osservare questi volti sbiaditi, 
enigmatici ed allo stesso tempo molto famigliari...

Chi non ha in casa qualche foto o dagherrotipo
della bisnonna o di qualche pro-pro zia
di cui si sono perse le tracce nella memoria...

...ed accorgersi che questi visi, un po' tutti, 
ci sembra di averli già conosciuti...
In questa immagine ci sono dei provini di
foto, è la prima volta che ne trovo
qualcuno, all'interno di questi album...
molto probabilmente qualcuno
desiderava riprodurli per sè...

Alcune foto sono molto più
sbiadite di altre.
Tra un po' non resterà più nemmeno
l'immagine di questa persona!

Quando sfoglio questi album,
è come avere il dono dell'ubiquità,
che magnifico dono sarebbe...
Sicuramente mi farei trasportare
direttamente in quel
periodo Vittoriano, che molto
probabilmente non deve essere
stato facile per le donne ed i bambini!

Ma un viaggetto tra le crinoline, i corpetti,
gli strettisimi busti...

...le loro spille, 
ogni donna la portava sempre,
penso che non sarei l'unica a volerlo fare!!

Questa foto marina con questi
deliziosi bimbi, che potrebbero
essere benissimo i nostri trisnonni...che storiaccia!

E queste cinque sorelle... la loro espressione
ed il loro sguardo è quasi uguale,
quanta acqua è passata sotto i ponti...
Perdonatemi la mia nostalgia,
ma quando sfoglio questi album, 
mi sento "a casa"...

mercoledì 2 febbraio 2011

UNA FAVOLA

Buon giorno cari Fiocchi di Neve!

Oggi ho voglia di regalarvi una favola che a me piace molto. Si tratta de "IL GATTO CON GLI STIVALI" di Charles Perrault, tratta dal libro "Grandi Storie di Gatti - Vol 1".
Eccola:

IL GATTO CON GLI STIVALI di Charles Perrault



C'era un mugnaio, che aveva lasciato ai tre figli nient'altro che il mulino, un asino e un gatto. La spartizione fu ben presto fatta. Non vennero chiamati né il notaio né il procuratore. Si sarebbero subito mangiati l'intero patrimonio. Il più vecchio ebbe il mulino, il secondo l'asino e il giovane null'altro che il gatto.
Il povero giovane era alquanto sconsolato per aver avuto così poco. «I miei fratelli» diceva «possono guadagnarsi da vivere abbastanza bene, unendo le loro risorse; ma, dal canto mio, quando mi sarò mangiato il gatto e mi sarò fatto un manicotto con il suo pelo, dovrò morire affamato». Il Gatto, che udì tutto questo, ma fece finta di non aver sentito nulla, gli disse con tono grave e serio: «Non affliggerti così, mio buon padrone; non hai che da darmi una borsa e da farmi fare un paio di stivali, cosicché io possa correre agile nel fango e tra i rovi, e vedrai che non ti sarà andata male come pensi».
Anche se non faceva molto conto su ciò che aveva detto, lo aveva spesso visto escogitare trucchi astuti per catturare ratti e topi, come quando soleva appendersi per i talloni o nascondersi nella farina, fingendo di essere morto; così non disperava del tutto che gli fosse d'aiuto nella sua miserabile condizione. Quando il Gatto ebbe ciò che aveva chiesto, indossò gli stivali con molta eleganza; e, messosi la borsa a tracolla, ne tenne la corda con le zampe anteriori e andò in una conigliera dove c'era grande abbondanza di conigli. Nella borsa mise crusca e cicerbita quindi, allungandosi al massimo, come se fosse morto, aspettò che qualche coniglietto venisse a frugare nella borsa, visto ciò che vi aveva messo.
Rimase steso per poco tempo, ma ebbe quello che voleva; un incauto e sciocco coniglietto saltò nella borsa ed il signor Gatto, stringendo immediatamente la corda, lo prese e lo uccise senza pietà. Orgoglioso della preda, andò con essa a palazzo, e chiese di parlare con sua Maestà. Venne condotto al piano superiore, negli appartamenti del Re e, facendo un'ampia riverenza, gli disse: «Sire, vi ho portato un coniglio di conigliera, che il mio nobile signore, il Marchese di Carabas (questo era il titolo che il gatto amava conferire al suo padrone), mi ha ordinato di portare in dono a sua Maestà».
«Di' al tuo padrone» rispose il Re «che lo ringrazio, e che mi fa estremo piacere».
Un'altra volta andò a nascondersi dietro al granturco, tenendo la borsa aperta; e, quando una coppia di pernici vi si infilò, tirò la corda, prendendole entrambe. Andò a donarle al Re, come aveva fatto col coniglio preso nella conigliera. Il Re accettò le pernici con altrettanto piacere, e ordinò che gli fosse dato del denaro per bere qualcosa.
Il Gatto continuò così per due o tre mesi a portare, di tanto in tanto, a sua Maestà selvaggina del suo padrone. Un giorno, in particolare, quando seppe con sicurezza che egli avrebbe fatto un giro lungo il fiume con la figlia, la più bella principessa del mondo, disse al padrone: «Se seguirai il mio consiglio, avrai la tua fortuna; non hai che da andare a lavarti nel fiume, in quel punto che ti indicherò, e lascia il resto a me». Il Marchese di Carabas fece quello che il Gatto gli aveva suggerito, senza sapere perché e percome.
Mentre si lavava, passò il Re, ed il Gatto iniziò a gridare con tutta la voce che aveva: «Aiuto! Aiuto! Il mio signore, il Marchese di Carabas sta annegando». A quel suono il Re sporse la testa dal finestrino della carrozza e, scoprendo che era il Gatto che gli aveva spesso portato della selvaggina tanto gustosa, ordinò alle guardie di accorrere immediatamente in aiuto a sua signoria, il Marchese di Carabas.
Mentre stavano tirando il povero Marchese fuori dal fiume, il Gatto si avvicinò alla carrozza e disse al Re quanto segue: «Mentre il mio padrone si stava lavando, laggiù, sono arrivati dei furfanti, che sono scappati con i suoi vestiti, nonostante egli abbia gridato "Al ladro! Al ladro!" più volte, con tutta la voce che aveva». L'astuto Gatto aveva nascosto i veri abiti sotto un grande sasso. Il Re ordinò immediatamente agli addetti al suo guardaroba di correre a prendere uno dei suoi migliori vestiti per il signor Marchese di Carabas.
Il Re lo abbracciò con fare molto speciale, e visto che i bei vestiti che gli aveva dato esaltavano straordinariamente il suo piacevole aspetto (era ben fatto e molto bello), la figlia del Re ne venne segretamente colpita: il Marchese di Carabas non le aveva lanciato che due o tre rispettose, ma in certo qual modo tenere, occhiate che lei se ne innamorò follemente. Il Re lo avrebbe sicuramente invitato a salire in carrozza e a fare un giro con loro. Il Gatto, pienamente contento che il piano iniziasse a funzionare, li precedette camminando e, dopo aver incontrato alcuni contadini che stavano falciando un campo, disse loro: «Buona gente che state falciando, se non direte al Re che il campo che falciate appartiene al mio signore, il Marchese di Carabas, verrete fatti a pezzettini, come le erbe per la pentola».
Il Re non mancò di domandare agli uomini a chi appartenesse il campo che stavano falciando: «Al nostro signore, il Marchese di Carabas», risposero tutti all'unisono, visto che le minacce del Gatto li avevano spaventati a morte. «Vedete, Sire» disse il Marchese, «questo è un campo che produce sempre raccolti abbondanti, ogni anno». Il signor Gatto, che li precedeva, incontrò alcuni mietitori, e disse loro: «Buona gente che state mietendo, se non direte al Re che tutto questo granturco appartiene al Marchese di Carabas, verrete fatti a pezzettini come le erbe per la pentola».
Il Re, che passò un attimo dopo, volle assolutamente sapere a chi appartenesse tutto quel granturco che aveva visto: «Al nostro signore, il Marchese di Carabas» risposero i mietitori; ed il Re ne fu molto lieto, come pure il Marchese, con cui in seguito il sovrano si congratulò. Il signor Gatto, che li precedeva sempre, disse le stesse parole a tutti quelli che incontrava; ed il Re rimase stupito di fronte alle ampie proprietà del signor Marchese di Carabas.
Il signor Gatto arrivò infine ad un maestoso castello, il cui signore era un Orco, il più ricco che si conoscesse; tutte le terre che il Re aveva percorso appartenevano, insieme al castello, a lui. Il Gatto, che si era preso cura di informarsi su chi fosse l'Orco e su che cosa sapesse fare, chiese di parlargli, dicendo: «Non potevo passare tanto vicino al castello senza avere l'onore di porgergli i miei rispetti».
L'Orco lo ricevette civilmente, nella misura in cui un Orco poteva fare, e lo invitò ad accomodarsi. «Mi hanno assicurato» disse il Gatto «che avete il dono di tramutarvi in tutti i tipi di creature che volete; potete, ad esempio, trasformarvi in un leone, o in un elefante, o in animali simili».
«Questo è vero» rispose l'Orco molto bruscamente, «e per convincervi vedrete come ora diventerò un leone». Il Gatto fu tanto terrorizzato alla vista di un leone così vicino a lui che saltò immediatamente nella grondaia, non senza molti problemi e pericoli, a causa degli stivali, che non gli erano di alcuna utilità per arrampicarsi sulle tegole. Qualche tempo dopo, quando il Gatto vide che l'Orco aveva riacquistato la sua forma naturale, scese giù, e dichiarò di aver avuto molta paura.
«Sono stato informato» disse il Gatto, «ma non so se crederci, che avete anche il potere di assumere le sembianze degli animali più piccoli; ad esempio, di trasformarvi in un topo o in un ratto; ma, devo ammettere, questo credo sia impossibile».
«Impossibile!» urlò l'Orco. «Lo vedrete adesso», e nello stesso momento si tramutò in un topo, ed iniziò a correre sul pavimento. Non appena ebbe visto ciò, il Gatto gli balzò addosso e lo divorò.
Nel frattempo il Re che, passando, aveva visto il bel castello dell'Orco, ebbe desiderio di entrarvi. Il Gatto, che sentì il rumore della carrozza di sua Maestà sul ponte levatoio, corse fuori e disse al Re: «Vostra Maestà è benvenuta al castello del mio signore, il Marchese di Carabas».
«Che cosa! Il signor Marchese di Carabas» esclamò il Re, «e anche questo castello appartiene a voi? Non c'è niente di più bello di questo palazzo, e di tutti gli splendidi edifici che lo circondano; entriamo, se lo desiderate». Il Marchese diede la mano alla Principessa, e seguì il Re, che salì per primo. Entrarono in un atrio spazioso, dove trovarono una magnifica colazione che l'Orco aveva preparato per i suoi amici, i quali quel giorno dovevano fargli visita, ma non osavano entrare, sapendo che c'era il Re.
Sua Maestà fu deliziato dalle buone qualità del signor Marchese di Carabas, come pure sua figlia, che si era innamorata pazzamente di lui; e, vedendo le grandi proprietà che possedeva, gli disse, dopo aver bevuto cinque o sei bicchieri: «Sarà imputabile solo a voi, mio signor Marchese, se non diventerete mio Genero». Il Marchese, facendo numerosi e profondi inchini, accettò l'onore che sua Maestà gli conferiva, e subito in quello stesso giorno sposò la Principessa.
Il Gatto divenne un grande signore e non inseguì più i topi, se non per diletto.